Rassegna stampa: Corriere di Verona 28 marzo 2015

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RAMAGLI NAPOLI PALAOLIMPIA

«Livorno, de’ Medici e la politica»: coach Ramagli racconta se stesso

Fa vita di quartiere a San Massimo («il mio piccolo mondo antico»), quando può riabbraccia Livorno («schietti, poco convenzionali, siete i livornesi del Veneto») e si nutre di pallacanestro, libri, film. Dal coach al padre di famiglia, a voi Alessandro Ramagli, 50 anni, il pensiero stupendo di una Verona in A1 e l’impegno in agenda per stasera: ore 20.30, la Scaligera capolista ospita Casalpusterlengo, atto 24 della sua terza stagione in gialloblù. Livorno per lui «Cresco in un quartiere popolare. Mamma sarta, poi bidella, caratterialmente un carro armato. Papà macellaio, un pezzo di pane. Da lui ho preso la bontà e da lei il carattere fumino, così ingozzo fino a esplodere: in partita chiudo due occhi quando dovrei essere intransigente e perdo il controllo per robette. Moglie ex cestista, ci siamo conosciuti allenando la Don Bosco, lei minibasket, io giovanili. Due figli. Sul lavoro non m’hanno mai seguito e mi sento forgiato da una lunga solitudine vissuta sempre bene. Nel cellulare conservo le Leggi Livornine. Ferdinando I de’ Medici scriveva: puoi essere italiano, spagnolo, arabo, ebreo, di qualunque razza tu sia qui a Livorno sei il benvenuto e puoi portare la tua famiglia, fare il tuo mestiere, professare la tua religione. Nel 1591 erano meglio di noi, oggi se lo legge la Santanchè le viene un attacco di bile. Poi c’è il Vernacoliere, vanto da tasca posteriore dei jeans. Mario Cardinali è un poeta della satira, magari titola in prima “Berlusconi puppaci la fava” ma se sfogli il giornale cogli la sua grande arguzia. Fra i nostri proverbi: “L’arrivo è al Vigorelli”. Utile contro gli estremisti della negatività. Vecchio velodromo milanese, il Vigorelli era l’atto finale del Giro d’Italia: potevi cadere a Taranto e incassare minuti sulle cime di Lavaredo… però l’arrivo era al Vigorelli. Altro bagaglio toscano è l’anticlericalismo, seppure Papa Francesco tocchi tasti giusti e sembra farlo col cuore: certo, poveraccio, certi tasti non li può toccare nemmeno lui». Uomini illustri «n mio primo allenatore mi disse: “Ale, non sei buono a una sega, vai con l’altra squadra, lì giochi e ti diverti”. Fallo ora e ti denunciano. All’epoca avevo 13 anni, rincasai con la lacrimuccia e mio padre me l’asciugo così: “Il tuo coach ha ragione”. Papà cestistico? Gianfranco “Cacco” Benvenuti, maestro elementare che faceva della semplicità il valore aggiunto, non diceva niente che non fosse scontato, ma il suo modo di dirlo rendeva quel semplice concetto una chiave assolutamente vincente. Un anno a Livorno ospitavamo la corazzata Jesi. Io: “Loro sono primi e noi si retrocede…”. E lui quasi ti stesse spiegando cos’è il pane: “Noi in casa non si perde mica più. In trasferta siamo bimbetti deficienti. Ma in casa non si perde mica più”. “Cacco, ma che cazzo dici?”. Risultato: le vincemmo tutte. Sono stato anche l’ultimo tecnico del grande Michael Ray Richardson, due mesi a Livorno poi smise. Primo aneddoto: premio partita, il nostro undicesimo viene ignorato, lui s’incazza, esce dalla palestra, va a Firenze, compra un giubbotto di pelle da 3 milioni di lire e il giorno dopo lo regala al ragazzo. Secondo: a due anni dal suo ritiro vado a una Summer League. Siedo in tribuna e m’arriva addosso una monetina. Dopo un minuto, altra monetina. Alla terza mi giro e vedo Mike che mi scherza. Vicino a lui Dennis Johnson, play dei mitici Celtics. Mi chino, urlo un affettuoso “vaffanculo” e gli restituisco l’ultima monetina in stile baseball. Peccato ch’eravamo a Boston, lui era Michael Ray Richardson e io l’ultimo degli stronzi. Morale: Johnson s’alza per venire a suonarmele, Mike lo strattona “no, fermo, quello è stato il mio ultimo allenatore” e di fatto mi salva la vita…». Stile libero «Amo i libri che ti pizzicano il cervello. Sul comodino “La piramide del successo” di Wooden. Tra i recenti “Sottomissione” di Houellebecq, considerato la fiammella dell’attentato a Charlie Hebdo. Leggetelo: ha senso e vedi una cosa molto chiara da un punto di vista diverso. Cinema? Una volta a Pesaro ero stufo dei giornalisti, pareva non andasse mai bene niente. “Stasera tra i vhs dei vostri figlioli cercate Ratatouille…”. La frase-chiave è legata all’eterno scontento Anton Ego, criticone di gastronomia: “Qualunque impresa anche mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale”. In sala stampa, la volta dopo, parevano agnellini. Mi prende anche la politica, quella vera. Livorno è stata roccaforte rossa fino al 2013, poi il M5S, voto di protesta che mi trova concorde, non perché sia giusto in sé ma perché a volte c’è bisogno di quell’alternanza che obbliga a un buon governo: se vivi sapendo che l’1-0 lo porterai sempre a casa, beccarti uno 0-1 in contropiede ogni tanto fa bene».

Matteo Sorio