«Mi piace vincere anche nel Gabbione…»

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Metti una sera a cena con Alessandro Ramagli. Si parla di basket ma non solo di basket, lassù nel cuore di Madonna di Campiglio, sotto lo sguardo delle Dolomiti del Brenta. Si spazia da Verona a Livorno, con uno sguardo al mare, un pensiero per la famiglia, una risata sul Gabbione… «Ma voi sapete cos’è il Gabbione? È una roba tutta nostra – spiega il coah della Tezenis – un campo da calcetto, quasi sempre in riva al mare, con quattro muretti che lo delimitano e una rete che lo copre. La palla corre veloce e non esce mai. Vale tutto, anche qualche spintarella. Si gioca dai cinque ai novant’anni. Tecnica, agonismo e tanta furbizia perchè nel Gabbione bisogna essere bravi soprattutto di sponda. Quando usciamo siamo tutti sfiniti ma contenti, pronti per l’aperitivo. Ah, dimenticavo, io non voglio mai perdere, nemmeno nel Gabbione…». La compagnia è piacevole nel fumoir dell’Alpen Suite Hotel, l’albergo che ospita il ritiro dei «giganti» gialloblù. Al tavolo, con Ramagli, il medico della Tezenis, Paolo Cannas, la sua compagna Francesca Masè, il responsabile dell’area organizzativa, Andrea Sordelli. I pensieri volano veloci, il confronto è animato ma le parole scivolano sottovoce. Tra un caffè, un whisky torbato e due dita di Chartreuse. C’è anche chi azzarda un sigaro cubano. Ramagli si concede una sigaretta. E racconta.

RAMAGLI E LA TEZENIS. «È stata un’estate di passione – ammette – ma non c’è stato un trasporto emotivo. Ho sempre visto il ripescaggio in A1 come un’ipotesi lontana, ho cercato di essere pratico. Delusione? Certo ma sono pronto a ripartire dalla A2. Abbiamo fatto scelte razionali, sempre condivise con Giorgio Pedrollo e Gianluca Petronio. Abbiamo ridotto il budget dell’investimento ma costruito un buon gruppo. Le prime indicazioni dopo una settimana di lavoro? Ci sono tanti ragazzi nuovi, ho cercato di individuare soprattutto le criticità individuali, potrebbero fare la differenza, in negativo, nei momenti critici del torneo. Mi sembra di non vederne, almeno per adesso».

RAMAGLI E VERONA. Terzo anno di Verona per il tecnico toscano, un’esperienza atipica nel panorama del basket nazionale. «Per me non è una novità – ammette Ramagli – sono stato sei anni a Biella, due a Teramo, due a Reggio. Quando ho firmato per Verona mi avevano detto che questo è un ambiente particolare, una società “mordi e fuggi” perchè voleva assolutamente vincere e vincere subito. Invece ho trovato un gruppo strutturato, con una filosofia sportiva ben delineata, siamo cresciuti tutti insieme. L’obiettivo? Non possiamo nasconderci. Il primo anno dovevano raggiungere i play off e l’abbiamo fatto, nella seconda stagione abbiamo fatto meglio e siamo arrivati alle semifinali anche se resta un po’ di amaro in bocca perc come sono andate le sfide con Capo d’Orlando. Quest’anno si parte per vincere ma non è mai facile vincere anche perchè dobbiamo battere avversari come Torino, Napoli e Ferentino che hanno investito e costruito squadre importanti».

RAMAGLI E LIVORNO. Il lavoro a Verona, la vita a Livorno. Un legame indissolubile con la propria città natale. «Sono un uomo di mare, apro le finestre di casa mia e sento il profumo delle onde che sbattono sugli scogli – racconta – amo il mare, l’acqua, il sole, la spiaggia. Mi piace vivere il mare d’inverno. Quando torno a casa, dopo le partite, anche alle due di notte, adoro fare una passeggiata sulla sabbia, respirare a pieni polmoni, riflettere… E poi lì c’è la mia famiglia, ci sono i miei amici».

RAMAGLI E LA FAMIGLIA. La moglie Claudia, i figli Alberto e Alessio, sono tre punti fermi nella Galassia Ramagli. «Ho fatto una scelta di vita quando ho iniziato a fare questa lavoro – aggiunge il tecnico toscano – e ho deciso di scindere la mia vita professionale da quella familiare. Moglie e figli sono sempre rimasti a Livorno, perchè vorrei che non vivessero le mie tensioni, le mie delusioni. Vorrei tornare a casa e non portarmi dietro le amarezze per le sconfitte. Alla fine non è mai così. Oltrettutto adesso i ragazzi sono più grandi, anche loro giocano a basket. E così, anche a casa, si parla di pallacanestro…».

RAMAGLI E LO SPORT. Non solo basket, però. Lo sport è la grande passione di Ramagli. «Ho giocato a basket da giovane, adesso la partita di calcetto è una tradizione che si ripete ogni settimana – continua – e d’estate vai con il Gabbione. L’ho già detto mi piace vincere, rispetto gli sportivi di carattere, quelli che in campo danno tutto, che escono dal campo stremati, senza forze. Nello stesso tempo però accetto la sconfitta, una tappa fondamentale nel processo di crescita per tutti gli atleti».

RAMAGLI E I CAMPIONI. Lo sport in prima persona e lo sport in televisione. Ramagli non perde un evento. «Sono un calciofilo – afferma Ramaglia – tifo da sempre per il Livorno, mi piace seguire le partite di pallone ma è chiaro che qualcosa deve cambiare in questo mondo. La debacle dell’Italia ai Mondiali potrebbe diventare una lezione ma qui bisognerebbe aprire un dibattito di giorni che dovrebbe toccare anche l’impiantistica e l’attenzione ai nostri vivai. Sport di squadra o individuali? Va bene tutto ma è il campione che colpisce l’immaginario collettivo. Federica Pellegrini, per esempio. Troppo brava, ha vinto tutto nel nuoto ma nello stesso tempo è diventata un’icona per tutto lo sport. E poi non posso dimenticare Marco Pantani. Ci ha lasciato in modo tragico ma quante emozioni ha regalato con i suoi scatti in salita…».

Luca Mantovani – L’Arena